Ce l’eravamo detto la volta scorsa: far nascere un nuovo movimento, un nuovo partito: Sinistra Ecologia e Libertà, farlo nascere nell’Italia in decadenza del XXI° secolo, nel mondo globalizzato della crisi economica e finanziaria, nella crisi della politica ed insieme della sinistra, sarebbe stata una bella partita . Una partita che richiedeva coraggio, ambizione e anche un po’ di insana follia. Eppure eccoci qua , nel pieno della partita a guardarci in faccia, a tirare le somme di queste prime battute, mentre tutto intorno a noi ed insieme a noi è cambiato e sta cambiando, eccoci qua per tracciare ed imboccare insieme la strada giusta.
Non possiamo nasconderci che il percorso è ancor più impervio di quanto l’avessimo immaginato. Alcune difficoltà le avevamo intraviste, lette ed anche purtroppo preconizzate.
Avevamo indicato dove avrebbe portato il vento neoliberista partito da Washington attraverso le politiche imposte dal Fondo monetario Internazionale e dalla Banca mondiale. Adesso ci siamo dentro. Nella più grande crisi economica dal dopoguerra. Crisi finanziaria che sta attraversando i continenti come un vento inarrestabile, declinando in termini immediatamente concreti e materiali le sue conseguenze: distruzione di interi segmenti dell’economia reale e dei tessuti produttivi, crescita esponenziale di povertà e diseguaglianze, accensione di conflitti e guerre sempre più ricorrenti quanto più ingestite ed incontrollabili, smantellamento sempre più incalzante dei sistemi pubblici e comunitari di gestione dei beni comuni e dei servizi, dei sistemi di protezione del welfare e della salute, del diritto allo studio ed al sapere, distruzione delle risorse naturali piegate al servizio della produzione senza controllo, programmazione, sostenibilità.
Questa crisi arriva da lontano, da luoghi e persone che non riusciamo neanche ad identificare e nominare per quanto sono astratti, distanti, inafferrabili. Le sue conseguenze sono invece fin troppo vicine, arrivano fino nei corpi, nella carne delle persone. La incontrano quelli che all’improvviso vedono chiudere una fabbrica, la propria che operava tranquillamente da decenni e che in un anno chiude e manda tutti a casa, senza che si possa fare niente; la incontra un disabile che aveva un pullman che lo passava a prendere per uscire di casa e che non lo trova più: tagli. La incontra uno studente al quale una sera il padre deve spiegare che non può permettersi di fargli proseguire gli studi perché i soldi non bastano e che non ha nessuna possibilità di accedere ad una borsa di studio perché i fondi non ci sono. La incontra una donna che deve lasciare il lavoro perché è incinta e non c’è un sostegno, un asilo, all’orario che le serve. La incontrano quelli che una sera rincasando dopo il lavoro sotto la pioggia si vedono investire da una bomba d’acqua che distrugge tutto perché il territorio è abbandonato e nessuno se ne può curare. La incontra un disoccupato che perde la casa e non trova uno stato che gli restituisca qualcosa di quello che ha pagato quando lavorava, delle sue tasse, per avere un reddito minimo, un alloggio popolare, che gli consenta di rimettersi in piedi. La incontra un commerciante o un artigiano che deve chiudere bottega. Un migrante che deve scappare dal suo paese ed arriva nell’occidente agognato dove trova umiliazione e sfruttamento.
Questa crisi sembra una valanga inarrestabile un fenomeno deterministico, una catastrofe naturale. Eppure non lo è. E’ la conseguenza di scelte determinate e determinabili, compiute contro il consenso di tanti inascoltati in quei G-8 o G-20 che hanno consegnato le chiavi del governo del mondo dalle mani degli Stati e dei popoli a quelle della finanza e dei potentati economici internazionali.
E’ da qui che bisogna ripartire per invertire la rotta. Dalla necessità di una riappropriazione da parte dei popoli della propria sovranità, dalla restituzione alla politica del suo potere di trasformazione della realtà.
Un compito gigantesco che non si risolve nell’eventualità di vincere le elezioni, ma nella necessità di ricostruire un movimento mondiale di lotta e contrapposizione alle forze che stanno sovradeterminando le decisioni degli Stati indirizzandole nelle direzioni liberiste e capitaliste alle quali non riusciamo a porre gli argini adeguati.
Per questo fin da quando abbiamo deciso di costruire questo nostro soggetto politico lo abbiamo fatto nella consapevolezza di essere insufficienti e con la volontà di creare un luogo aperto in cerca dei giusti compagni di strada.
In Italia abbiamo pensato di metterci al servizio della ricostruzione di un centro-sinistra capace di invertire quella rotta, di ridare speranza e di costruire delle risposte concrete ai problemi irrimandabili del sistema Paese. Ridare dignità al lavoro: salvaguardare e ricostruire un tessuto industriale che rischia la desertificazione. In questi anni stanno rischiando di scomparire pian piano i principali asset della nostra industria: la Chimica, l’Acciaio, l’Auto, e in ultimo anche le Comunicazioni e le Telecomunicazioni. Ricostruire un sistema dei diritti e delle rappresentanze sindacali reintroducendo sistemi democratici nelle rappresentanze capaci di poter salvaguardare i diritti dei lavoratori, redistribuire il reddito e restituire cittadinanza ad una generazione esclusa ed offesa dal precariato. Investire nella creazione di un nuovo sistema economico sostenibile ed ecologico che parta dai saperi e dalla valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico e dalla riconversione ecologica dell’economia. Ridurre le disuguaglianza redistribuendo il carico fiscale dal lavoro sulle rendite improduttive e sulle transazioni finanziarie. Tutelare i beni comuni dando seguito al rivoluzionario referendum sull’acqua pubblica espressione della volontà popolare di riappropriazione delle proprie risorse. Dare un profilo moderno e civile al nostro paese dando cittadinanza ai diritti civili degli omosessuali e delle coppie di fatto, alla fecondazione assistita e al testamento biologico, ai diritti dell’autodeterminazione delle donne, al divorzio breve. Temi rispetto ai quali ormai anche il nuovo Papa, Francesco sta superando a Sinistra le Leggi dello Stato Italiano a riguardo. Restituire valore alla formazione dei nuovi cittadini mettendo al centro la formazione, la Scuola ,l’Università e la Ricerca a discapito delle spese sempre crescenti, a dispetto di tutte le crisi, per gli armamenti e per le guerre.
Abbiamo tentato di costruire insieme al PD una prospettiva di cambiamento. Mentre eravamo impegnati in questa sfida, nella campagna elettorale, abbiamo avuto al nostro fianco un compagno di strada distratto, confuso e ambivalente. Da una parte a sostegno del bisogno di cambiamento e dall’altra complice ed occhieggiante alle politiche di Monti, dell’Europa, delle sue richieste di austerity.
L’alleanza “Italia Bene Comune” non ha raggiunto l’obiettivo, gli elettori ci hanno punito. I disoccupati, i giovani, gli esclusi dal sistema, gli imprenditori sconfitti hanno gridato la loro protesta rivolgendosi al movimento 5 stelle o disertando le urne.
Non hanno creduto alla nostra proposta, accomunandoci ai responsabili del declino dell’Italia e ai membri della casta della politica, attenta più ai propri interessi che a quelli della popolazione.
Quello che è accaduto dopo, nell’elezione del Presidente della Repubblica, la decapitazione di Prodi e Rodotà nel segreto dell’Urna dei centouno deputati del Pd e la nascita del governo delle larghe intese, hanno ingrandito ancora di più questo solco e allargano la frattura della sinistra e tra la sinistra e il suo popolo in maniera che rischia di diventare irreversibile.
SEL coerentemente ha contrastato la nascita delle larghe intese. Ultimo frutto avvelenato di Berlusconi per tentare di contrattare un salvacondotto per le proprie questioni giudiziarie, non ottenuto il quale, riafferma immediatamente la sua propaganda, mettendosi all’opposizione e scaricando sul governo e sul PD il peso delle scelte rigoriste riproposte ancora come unica strategia.
Bene abbiamo fatto a rispedire al mittente le critiche che ci sono arrivate da più parti di essere dei traditori e degli irresponsabili.
Irresponsabile è chi sostiene ancora questo governo. Un governo del quale non è chiaro l’obiettivo né la mission, che doveva modificare la legge elettorale per tornare al voto e porre freno alla crisi economica. Della legge elettorale non sappiamo nulle mentre la crisi è peggiorata.
La disoccupazione ha raggiunto il livello record di 3 milioni 189 mila persone ad ottobre, con un tasso di disoccupazione mensile del 12,5%, l’1,2% in più rispetto all’anno scorso. Il numero degli occupati è diminuito di 568 mila persone ed il dato della disoccupazione giovanile ha raggiunto il livello record del 41,2 %. Le previsioni Istat per l'anno in corso stimano per l'Italia una diminuzione media annua del Pil dell'1,8%, con una crescita modesta (+0,7%) nel 2014 prevista senza aumento dell’occupazione.
Il governo inoltre non ha saputo immettere la minima correzione al carico fiscale in favore delle fasce deboli, anzi ha spostato il peso fiscale dai proprietari di immobili, abolendo l’IMU anche sulle case di lusso, ai consumatori indiscriminatamente, siano essi ricchi o poveri, aumentando l’IVA. Producendo così il paradosso per il quale un possidente di una Villa miliardaria se prima casa, ha visto ridursi le tasse. Un senza tetto che acquisti un qualche genere di conforto tassato al 20% di iva se le è viste aumentate. Ha inoltre confermato la priorità degli investimenti su infrastrutture inutili e dannose come la Tav, o nuove autostrade e sugli armamenti confermando l’ingente somma destinata alle spese militari rispetto alle quali non si intravede mai nessuna ipotesi di spending review, anzi confermati tutti gli stanziamenti per gli F35 e per le missioni all’estero. E’ difficile poi parlare dell’ultima legge di stabilità che già nel nome denuncia l’ obiettivo di abdicazione allo status quo. È la stabilità , come dice lo stesso Vendola, “dell'esistente, delle compatibilità date senza un'idea minima di come modificarle, la stabilità delle politiche di austerità introdotte da Monti e da Fornero, la stabilità della recessione e della depressione, la più alta in tutta Europa, che proprio quelle politiche hanno prodotto.
È la stabilità, per intenderci, degli esodati, metafora italiana dell'ingiustizia sociale generata dalla inconcludente presunzione della tecnica al governo, e parola che non si ritrova in nessuna riga del testo presentato da Enrico Letta e dal suo governo.
Nella Pubblica amministrazione si blocca la contrattazione come il turn-over e si prosegue nel taglio lineare ai bilanci, quando il nodo è quello di un'efficacia della spending review a partire dal taglio delle spese improduttive, delle politiche di trasparenza e semplificazione, dell'efficienza come priorità.
Nessuna risorsa nuova per istruzione pensioni d'oro e stipendi d'oro del settore pubblico, tra i più alti in europa, vengono ancora una volta tenuti al riparo dei loro privilegi. Del reddito minimo garantito, nessuna vera notizia”.
Intanto, una parte della maggioranza, quella che ha già vinto la partita dell'IMU, alza il tiro sulla privatizzazione delle spiagge, degli altri beni demaniali e sulle imprese di servizio pubblico, pronte appena privatizzate a ridurre il campo del servizio reso aumentandone le tariffe a carico dei cittadini. In questi giorni i lavoratori dell'industria, dei servizi, del pubblico impiego, i pensionati hanno unitariamente scioperato per cambiare segno alla legge. Era ora ed è un fatto importante e nuovo. Noi raccoglieremo le loro proposte e le abbiamo sostenute in Parlamento. Ora ormai la legge è stata approvata ma non deve fermarsi il movimento di tutti coloro che credono sia giunto il tempo di mettere in campo ricette nuove e di destabilizzare le nocive intese.
Questo governo, in perfetta continuità con Tremonti e Monti, persiste nello strangolamento economico dei Comuni, paradossale davvero in questo senso anche il carosello sulla seconda rata dell’imu, impossibilitati ormai a una qualsivoglia seria programmazione politica ed economica, e costretti, paradossalmente a ritoccare le aliquote e contemporaneamente a ridurre i servizi al cittadino. Tutto ciò, appare ormai evidente, è funzionale ad un processo di rigida centralizzazione istituzionale, alla sistematica riduzione degli spazi di manovra delle autonomie locali, alla eliminazione degli spazi possibili e reali di partecipazione e autogoverno delle cittadine e dei cittadini. Sottrarre risorse agli enti locali significa portare un attacco mortale ai soggetti che reggono il sistema del welfare nel nostro paese, e in perfetta coerenza con le politiche di austerity senza sviluppo, significa portare al disfacimento dei diritti sociali
L’Umbria lo scorso anno ha conquistato un amaro primato in tema di lavoro, risultando la prima regione in Italia per aumento dei decreti di cassa integrazione straordinaria, +146% rispetto al 2012 con oltre 46 le aziende in ristrutturazione aziendale. Più in generale l’Osservatorio nazionale del sindacato ha rilevato un aumento complessivo dell’11% della cassa integrazione rispetto all’anno precedente. Negativi anche i dati relativi alla situazione dell’export così come la produzione industriale. Dati che si inseriscono in un panorama che vedeva già l’Umbria Regione con il più alto tasso di lavoro precario, ultima tra le regioni del Centro Nord per bassi salari, disoccupazione, precariato di massa, una sottocapitalizzazione che perdura malgrado i livelli di alti investimenti e al fondo una dimensione di produzione della ricchezza debole.
Vediamo anche nella nostra Provincia come il processo di deindustrializzazione che attraversa interi settori, da quello metalmeccanico a quello della chimica, al settore alimentare e delle costruzioni non trova compensazioni sufficienti nelle nuove attività che pur con punte di eccellenza si fanno strada a fatica:la green economy, il turismo, la nuova agricoltura.
Le notizie positive in merito alle vendite di Sangemini ed Ast ci confortano ma non ci rassicurano del tutto. Non conosciamo i piani industriali dei futuri, speriamo acquirenti, né quanto questi costeranno ai lavoratori. Sappiamo invece quante altre vertenze sono in corso e sappiamo quanto il territorio sia attraversato da una crisi strutturale. Si parla molto in questi giorni del tema della richiesta di intervento da parte dello Stato per definire Terni area di crisi complessa. L’argomento ha suscitato prese di posizione contrapposte. Il nuovo presidente di CONFINDUSTRIA si è dichiarato contrario, perché ritiene che Terni non ne abbia le caratteristiche né che quello , secondo lui, di ricorrere al solito assistenzialismo possa essere il metodo da adottare. Non abbiamo ben compreso quale metodo proponga lui. Sappiamo però che ci sono le ragioni per denunciare lo stato di crisi della nostra area e che urgenti sono gli interventi di cui neccesita per sfuggire al declino di una deindustrializzazione quanto più reale che prefigurata. Ci sarebbe urgente necessità di intervento per ridefinire un piano complessivo capace di ridefinire quelle azioni di sistema capaci di dare stabilità alle aziende presenti e creare un terreno fertile per quelle innovative da intercettare: rafforzare ed innovare il sistema delle infrastrutture materiali ed immateriali, il tema dell’approvvigionamento energetico, della filiera della ricerca e dell’innovazione applicate all’impresa territoriale, dare gambe immediatamente al futuro del polo chimico del quale non si intravede a breve un progetto concreto.
Per fare questo è necessario l’intervento dello Stato, ad oggi non intravediamo altri strumenti diversi da quello richiamato dal sindacato. Ovvio diverso sarebbe se il Governo avesse improntato come necessario un sistema di politiche industriali da concordare con le Regioni in piani di sostegno ai sistemi territoriali dentro un Quadro Strategico Nazionale senza il quale nessun intervento sarà capace di salvaguardarci dalle decisioni e dalle strategie industriali delle tante Multinazionali che operano nei nostri territori. Ma di questo non abbiamo notizie.
Questo governo, non ci sta aiutando. Anzi in perfetta continuità con Tremonti e Monti, persiste nello strangolamento economico anche dei Comuni, paradossale davvero in questo senso anche il carosello sulla seconda rata dell’imu, impossibilitati ormai a una qualsivoglia seria programmazione politica ed economica, e costretti, a ritoccare le aliquote e contemporaneamente a ridurre i servizi al cittadino. Tutto ciò, appare ormai evidente, è funzionale ad un processo di rigida centralizzazione istituzionale, alla sistematica riduzione degli spazi di manovra delle autonomie locali, alla eliminazione degli spazi possibili e reali di partecipazione e autogoverno delle cittadine e dei cittadini. Sottrarre risorse agli enti locali significa portare un attacco mortale ai soggetti che reggono il sistema del welfare nel nostro paese, e in perfetta coerenza con le politiche di austerity senza sviluppo, significa portare al disfacimento dei diritti sociali. Questo andamento mette in seria difficoltà i governi locali e di conseguenza anche la tenuta delle alleanze di Centrosinistra. Abbiamo già visto in questi anni quanto sia stato difficile governare insieme nei comuni e nelle amministrazioni locali, barcamenandosi tra tagli e riduzione delle entrate, quanto sia stato doloroso ridurre servizi e praticare politiche di sinistra in un quadro che ci obbligava continuamente a remare “in direzione ostinata e contraria”. Come potremmo farlo in futuro se le politiche che avversiamo arriveranno da un governo “amico” ed incideranno in maniera così determinante nelle decisioni locali? Potremmo accettare ad esempio un diktat che venga dal governo per la privatizzazione di tutti i servizi pubblici locali come si sente paventare nei programmi delle larghe intese, dopo che ci siamo battuti con il referendum per la ripubblicizzazione ad esempio dei servizi idrici ,proprio a Terni conosciamo bene i danni che la privattizzazione ha provocato. Possiamo considerare positivo l’investimento sulla trasformazione della E45 in autostrada, quando sono stati ridotti tutti i finanziamenti per il trasporto pubblico alternativo e dobbiamo assistere ad una privatizzazione di Umbria Mobilità? Noi siamo contrari.
E’ stato difficile governare in questo modo. Voglio rendere merito a tutti quegli amministratori che si sono spesi in questi anni. Spesso veri eroi che hanno presidiato, soprattutto nei piccoli comuni e nelle circoscrizioni, il tema stesso della democrazia. Tema delicato e messo sempre più a dura prova tra decisioni etero dirette, governi tecnocratici e chiusura degli spazi della rappresentanza territoriale.
Siamo in direzione del rinnovo della maggior parte delle amministrazioni locali nel 2014, 24 in Provincia di Terni. Il tema non è come è apparso sulla stampa, quello della definizione politicista delle alleanze. Sappiamo che il rapporto con gli elettori è incrinato. Ce lo dicono i dati dell’astensionismo, il fiorire di liste civiche, i risultati di Grillo. Eppure il lavoro è stato fatto, un lavoro di trincea. Anche a Terni. Il sindaco Di Girolamo ci narra nelle riunioni di maggioranza tutta la fatica sostenuta per tenere in piedi una compatibilità degli obiettivi dati nel panorama dei tagli che via via si sono susseguiti. Gli sforzi che sono stati fatti per far si che a fronte di 8 milioni in meno sul sociale si sia riusciti a mantenere in piedi i servizi per gli anziani, per i disabili, e per i minori. A costruire quella seria di investimenti e di risparmi che da qui alla fine della legislatura porteranno a compimento una serie di interventi attesi: la riqualificazione della stazione il completamento di Corso del Popolo, la piscina dello Stadio, la Terni-Rieti. Lo sforzo politico per la difesa del ruolo di Terni nel panorama Regionale con il mantenimento dell’ASL e dell’Azienda Ospedaliera, il lavoro fatto per la salvaguardia dell’Università. La tenuta dei conti pubblici, non scontata, insieme al risanamento dell’AFM e delle altre partecipate, il mantenimento di un sistema della cultura vitale , ricco di proposte e di animazione del tessuto territoriale dell’associazionismo e delle professionalità che in maniera corale hanno mantenuto una serie di iniziative continuative che hanno fatto di Terni una realtà vitale anche in fase di vera austerity della quale il nostro assessore ha dovuto sopportare tutto il carico. Il lavoro sul piano d’ambito dei rifiuti, che grazie al nostro ostinato lavro insieme a r.c. e IDV, ha consentito al Sindaco di far approvare un piano in controtendenza a quanto programmato dalla Regione ma che siamo ancora al di là dal realizzare in pieno per arrivare all’obiettivo finale del superamento dell’ipotesi dell’incenerimento anche residuale dei rifiuti come auspichiamo. Risultati e sforzi grandissimi dei quali ringraziamo l’amministrazione Comunale. Un lavoro svolto spesso senza il giusto sostegno del Consiglio Comunale, che di certo nella maggior parte dei casi non ha brillato né per proposte né per esempi di buona politica. Eppure qualcosa è mancato. Questo lavoro di trincea non basta a consegnarci ciò di cui la città ha bisogno. La crisi profonda in cui viviamo richiede un intervento di ampio respiro, chiede di interrogarsi sul ruolo di Terni nell’Umbria e soprattutto nell’Italia di oggi. Di farla rientrare in quelle direttrici internazionali che ne hanno fatto una delle capitali dell’industrializzazione italiana, avanguardia tecnica ma soprattutto di battaglie e protagonismo sociale e civile. Terni ha bisogno di tornare ad essere quello che è sempre stata, il luogo dove passa il futuro prima che accada. E per fare questo ha la necessità di uscire dalla trincea e di affrontare il campo aperto dell’innovazione per non essere relegata a tornare un piccolo borgo periferico come prima del ‘900. Abbiamo le carte in regola per farlo dobbiamo crederci e stipulare un nuovo patto con le forze sane della città. Uscire dai meandri dell’amministrare per entrare in quelli del governare i processi che il mondo ci fa passare veloci sotto gli occhi. Per fare questo dobbiamo sì ricostruire un nuovo centro-sinistra, ma non andando a cercare spezzoni politici del centro destra, pezzi di poteri dai confini indistinti che si articolano in liste civiche dai profili poco chiari. Lo dobbiamo fare riannodando i fili spezzati con il nostro popolo. Dobbiamo produrre una rivoluzione nei metodi, nella pratica politica, aprire le stanze del pensare e del governare insieme alla città. Dare spazio ai saperi e alle energie vitali.
Prima di pensare alle primarie sulle persone apriamo un grande cantiere cittadino per la costruzione della nuova alleanza del centro sinistra, uscendo da tutti i reticoli che ci hanno imprigionato e che oggi sanno di stantio. Incontriamo il nostro popolo e con esso stipuliamo il patto di governo, chiamandolo a parteciparvi, ascoltando le ragioni del disamore e del dissenso se ci sono, per poterne fare il patrimonio di un nuovo progetto. Da qui possiamo poi partire per decidere insieme come strutturarlo e guidarlo. Non accettiamo niente al di sotto, nessun pastrocchio politicista con ambizioni di basso profilo.
Sel è a disposizione di questa rivoluzione. Perché siamo nati per rivoluzionare noi stessi, i nostri antichi preconcetti e rivoluzionare la sinistra. E’ un compito lo abbiamo detto all’inizio ambizioso e folle. Un compito che abbiamo portato avanti con estremo sacrificio nelle secche dell’antipolitica con un cuore che batte nella direzione opposta: ridare voce alla politica come unica chiave per il ribaltamento del contingente.
Lo abbiamo fatto abbandonando le stanze del potere e rientrandoci quando i cittadini ci hanno chiamato a farlo, con rigore e serietà. Una telefonata seppur sbagliata e dolorosa da digerire, non può cancellare il valore dell’impegno del nostro Governatore Vendola nella battaglia solitaria per la salvaguardai complicata e inevitabilmente complessa dell’ambiente e del lavoro a Taranto, e non può non far vedere che SEL, partito senza casa e senza fondi è stato l’unico in quella regione a non ricevere finanziamenti dalla famiglia RIVA. Il nostro lavoro è stato difficile in questi tre anni, ci muoviamo su un crinale stretto. Non cediamo di un millimetro rispetto alle nostre analisi e alla coerenza delle nostre idee politiche ma allo stesso tempo non chiudiamo e non possiamo chiudere le porte al dialogo ed al rapporto con tutti coloro che intorno a noi nei modi che ritengono opportuni condividono pezzi delle nostre battaglie politiche. SEL si è strutturata , ha messo radici. Ora è ad un bivio, continuare a navigare nel mare aperto o chiudersi nella costruzione di un piccolo soggetto istituzionale che perde il tempo a ragionare di se stesso come hanno fatto tanti intorno a noi che oggi si trovano a pentirsi amaramente degli errori commessi. Non dobbiamo caderci, compagni. L’ho detto all’inizio, quello che dobbiamo ricostruire è un popolo ampio, largo e forte Sembra un’impresa impossibile nel deserto di partecipazione che ci circonda, nella disillusione e nel cinismo che sembrano predominare. Eppure io credo che sia possibile. Se guardiamo bene lungo la strada in salita che si sembra di dover percorre, una strada sconnessa arida e polverosa, possimao assistere a dei miracoli, germogli inaspettati e forti che spuntano ovunque. Io anche qui a Terni ne ho visti germogliare alcuni che non avrei creduto. In un anno si è organizzata una associazione per i diritti civili degli omosessuali, sembrava impossibile da realizzarsi a Terni città operaia un po’ retrò. Invece all’improvviso in pochi mesi oltre 100 soci iniziative ogni settimana, partecipazione ed impegno indefessi e gratuiti e la trasformazione di percorsi di vita che mi ha commosso. L’altra esperienza quella di terni donne. Un’associazione senza sedi, senza soldi, in poco tempo ha realizzato più iniziative, pensiero luoghi di scambio e di incontro,legami veri e anche questi capaci di trasformazioni individuali e collettive impensate ed impensabili. Anche qui in direzione ostinata e contraria. Insieme a questo tanto altro, singoli e comitati, voglia di incidere e dire la propria. Noi siamo un pezzetto che si mette a disposizione, tutto il resto è fuori di noi e dobbiamo uscire ad incontrarlo, dobbiamo essere la forza che è capace di connetterlo e di riconnetterlo alla politica per ricostruire quel panorama di senso comune capace di darci la forza di capovolgere la storia. Se SEL è capace di questo o soltanto di contribuire a questo allora sarà utile all’Italia, allora saprà di aver intrapreso la strada giusta.Noi ci mettiamo a disposizione con i compagni e le compagne che hanno percorso questo breve tratto di strada. Sapendo che abbiamo fatto il possibile e che abbiamo commesso anche degli errori che dobbiamo correggere. Vi ringrazio della fiducia che mi avete accordato nel guidare questa avventura. So di aver fatto un decimo di quanto era necessario fare. Se l’ho fatto è stato comunque per il sostegno che ci siamo dati soprattutto quello di una persona che sopra a tutti debbo ringraziare senza la quale questa avventura traballante non avrebbe neanche potuto calare lo scafo in acqua. Parlo di Luciano Zara. Quindi via compagni, a percorrere la strada giusta, scarpe rotte eppur bisogna andare!!!
Federica Porfidi relazione 2° Congresso SEL TERNI, 30 Novembre 2013
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