Il voto di fiducia sul decreto governativo ci permette di avere una foto immagine della manovra economica di Monti e di potere quindi farci un giudizio più completo e ragionato. Un confronto anche con le precedenti manovre del governo Berlusconi può aiutarci a capire meglio.
Rispetto a queste ultime la manovra montiana si distingue per un maggiore peso delle entrate rispetto ai tagli di spesa: questo infatti è pari all’88% nel 2012, al 79% nel 2013 e al 75% nel 2014. Nel suo complesso la manovra correttiva vale 20,185 mld per il 2012; 34,429 mld per il 2013; 37,823 mld per il 2014. Su questi valori i tagli di spesa incidono per 2,289 mld nel 2012; 6,925 mld nel 2013; 9,333 mld nel 2014, mentre le maggiori entrate sono pari a 17,896 mld nel 2012; 27,504 mld, nel 2013; 28,490 mld nel 2014.
Ma le nude cifre di per sé dicono poco del segno di classe della manovra. Se si analizza la natura delle entrate, il quadro si fa molto più chiaro. L’aumento dell’Iva, che si riverserà sulla maggiorazione dei prezzi pagati da tutti i consumatori e quindi in proporzione dai ceti più deboli, vale per il 2013 e il 2014 quasi 13 mld di euro; il mancato aumento degli assegni previdenziali oltre i 1400 euro, comporta minori spese per 3,850 mld nel 2012; 6,700 mld nel 2013; 6,700 mld nel 2014, ma se si aggiungessero le previsioni relative alle conseguenze derivanti dall’innalzamento dell’età di accesso alle pensioni di anzianità e vecchiaia, la riduzione di spesa risulterebbe ancora superiore; l’Imu, ovvero la nuova Ici, avrà un gettito pari a 10,600 mld per ciascuno dei tre anni considerati (2012, 2013 e 2014), anche se in parte questo valore è stato ridimensionato dalla introduzione di detrazioni per i figli a carico; l’accisa sulla benzina pesa per maggiori entrate per 4,877 mld per il 2012, 4,858 mld per il 2013; 4,840 mld per il 2014.Se poi guardiamo alle cosiddette imposizioni patrimoniali contenute nella manovra, si può riconoscere anche qui – come ha rilevato Roberto Romano della Cgil Lombardia in un suo accurato studio – che i 2/3 delle medesime sono riferibili a pensionati e lavoratori, mentre solo una piccola parte incide su redditi diversi da quelli derivanti da pensioni o lavoro dipendente.
In sostanza sono solo le imprese a beneficiare della manovra e questo spiega il perché dell’entusiasmo della Confindustria. Infatti il sistema delle imprese può contare su una riduzione fiscale pari a 4,052 mld nel 2012; 6,770 mld nel 2013; 7,325 mld nel 2014. Se si confrontano queste cifre con quelle che riguardano i risparmi per le casse dello Stato in virtù della deindicizzazione delle pensioni che abbiamo prima citato, si può facilmente constatare come siano i pensionati a dovere sorreggere il peso degli sgravi fiscali alle imprese! A nulla è servita la lezione che il taglio del cuneo fiscale che Prodi concesse nel 2006 alle imprese per ingraziarsi il loro appoggio – che ebbe come unico effettivo risultato quello di inimicarsi i ceti popolari – non è servito affatto a rilanciare produzione e produttività del sistema.
Le previsioni in questo campo sono assai fosche. Sia la Commissione Ue che la stessa Confindustria hanno ulteriormente ridotto le previsioni di crescita fatte nei documenti del precedente governo. Ci attende un 2012 con una crescita minore dell’1,6%. In sostanza siamo in piena recessione e la manovra di Monti la accentuerà. Intanto viene sempre più eroso il risparmio delle famiglie italiane che finora era servito da ammortizzatore di fronte agli urti della crisi. Esso è sceso dal 12% del Pil a un assai più misero 5%. Ovvero per mantenere un minimo di consumi le famiglie italiane hanno dovuto fare ricorso ai propri risparmi, non bastando il loro reddito. Ma, come è noto, anche i barili più capienti e pazienti hanno un fondo, raggiunto il quale cìè ben poco da raschiare.
Alfonso Gianni
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